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Aiutare le persone a pensare, invece che dir loro cosa fare

Essere un bravo coach, ormai si sa, è una delle qualità più importanti per un manager che vuole persone motivate e team produttivi e innovativi.
Il coaching approach rende le persone autonome e responsabili del loro contributo, e fa emergere nuove idee e modi di fare le cose quando si è di fronte ad un problema.
Purtroppo però i training per insegnare ai manager a sviluppare le coaching skills sono spesso più complicati del necessario, e fanno sembrare l’approccio di coaching qualcosa di lungo e complesso.

In realtà il coaching approach consiste fondamentalmente nel fare buone domande.
Ma quando sentiamo la pressione delle cose da fare e dei risultati da raggiungere, è per tutti noi molto più facile dare consigli e fornire soluzioni, invece che aiutare gli altri a pensare.

Allenare i principi e la pratica del coaching, per quanto un po’ innaturale all’inizio, porta benefici molto velocemente: si lavora facendo meno fatica, e si ottengono risultati migliori.

Michael Bungay Stanier, che per anni con la società Box of Crayons ha avuto come missione quella di allenare i manager a diventare bravi coach con i loro collaboratori e colleghi, afferma che le principali obiezioni che i manager portano di fronte alla domanda “perchè non fai coaching alle tue persone ?” sono: ci vuole troppo tempo, non sono capace, è troppo difficile , non è il mio lavoro…

Dopo anni di training, Stanier ha distillato 7 domande veramente potenti e utili , che permettono ad ognuno di noi di “fare coaching” in modo quotidiano, semplice e compatibile coi ritmi forsennati del nostro modo di lavorare.
Le trovate riassunte, con molti altri tools, nel libro The Coaching Habit: Say Less, Ask More & Change the Way You Lead Forever : rendono davvero più facile e quotidiano l’utilizzo di un approccio che permette alle persone di diventare più forti, autonome, responsabilizzate e capaci.
Il tempo investito nell’imparare e utilizzare questo approccio si ripaga velocemente con gli interessi.

Ecco le 7 Powerful Coaching Questions, da usare (tutte o solo alcune) quando qualcuno viene da noi con una questione aperta, chiedendoci aiuto.

Domanda n°1 “Tu che cosa avevi in mente?
La domanda più facile, quella iniziale, che apre le danze e butta la palla nel campo del collaboratore o collega. Aiuta ad arrivare al punto velocemente. Taglia fuori tutto ciò che non è rilevante

Domanda n° 2 “E cos’altro?
Possono sembrare 3 piccole parole, ma sono potentissime, perché la prima risposta che una persona dà non è mai quella più utile o più rivelatrice: è di solito una risposta già pensata. Ci sono sempre altre risposte, altre possibilità da scoprire, e la domanda “Cos’altro?” forza le persone a scovarle, andando oltre l’immediato, l’ovvio, l’abituale. E’ inoltre un modo eccellente per tenere a bada la tentazione di dare un consiglio giusto e passare ad altro.
Chiedere “Cos’altro?” lascia spazio al pensiero dell’altro.

Domanda n°3 “Qual’ è la vera sfida qui, per te?
Questa è la domanda che obbliga a trovare il vero focus, quella che arriva all’essenza del problema sul tavolo. Questa domanda rimanda la fretta di trovare una soluzione e di passare subito all’azione, così tipica dei manager e delle organizzazioni frenetiche, perchè il suo scopo è trovare il nocciolo, il vero problema, invece che solo il sintomo, o la superficie, o la prima cosa che richiede attenzione.

Queste prime 3 domande insieme sono lo scheletro di ogni conversazione “di tipo coaching”.
Dopo possiamo passare alle successive 4 domande

Domanda n° 4: “Cosa vuoi ottenere?
Questa è la Domanda “fondativa” secondo Stanier.
E’ più complicata di quanto sembri, specialmente se si parla di relazioni che non funzionano o conflitti, ed è una domanda che permette di fare chiarezza, sottolineare cosa è davvero importante, orientare in modo positivo e attivo.

Domanda n° 5 “In che modo posso aiutarti?”
Potreste pensare che offrire aiuto sia un modo per togliere forza, responsabilità ed empowerment al collaboratore o collega, invece questa domanda ha l’effetto contrario: obbliga l’altro a fare una richiesta precisa, lo forza ad essere chiaro su quello che desidera e di cui ha bisogno.
Inoltre funziona come uno strumento di auto-controllo per chi , sennò, sarebbe pronto con una serie di consigli che non sappiamo ancora quanto siano pertinenti.

Domanda n° 6 “Se dici SI a questa strada, a cosa stai dicendo NO?”
Molti di noi sono schiacchiati, oberati dai doveri (che in larga parte ci siamo andati a cercare da soli), e questo ci fa perdere focus e suddividere le energie in pezzi sempre più piccoli. Per questo motivo è necessario fare questa domanda “strategica”. Questa domanda consente di vagliare le opzioni sul tavolo, per identificare la via davvero più valida, riconoscendo e accettando che alcune cose non si potranno fare, altre cose passeranno in secondo piano o saranno giustamente “sacrificate”.

Domanda n° 7 “Cosa hai trovato di utile in questa conversazione?”
L’ultima domanda deve sempre essere una domanda sull’ apprendimento.
Aiuta a chiudere la conversazione, fermando nella memoria del nostro interlocutore le cose realmente importanti, consolidandole. Aiuta noi a capire se e come siamo stati utili e cosa possiamo fare meglio la prossima volta.

Ma al di là del ricordare le 7 Powerful Questions, cosa permette di riuscire a fare tutto questo?
2 cose: essere curiosi, e avere fiducia!
In fondo, solo la curiosità e la fiducia ci permettono di fare domande, invece che dare subito consigli, spesso non richiesti, e a volte non mirati né veramente utili.

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