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Gestire e guidare il cambiamento: la neuropsicologia ci aiuta

www.pixabay.com Gerd Altmann

La resistenza al cambiamento “imposto” non è necessariamente un atto cosciente: è spesso un istinto di sopravvivenza evolutivo, profondamente radicato: l’ evoluzione ha fatto in modo che i nostri cervelli fossero prudenti riguardo al cambiamento.

Non appena incontriamo qualcosa di nuovo o inaspettato, il cervello valuta automaticamente se rappresenta una minaccia per la nostra sopravvivenza o per il nostro benessere, oppure una potenziale ricompensa.
Questo accade a livello inconscio, in un attimo: quando ci sentiamo minacciati (fisicamente o psicologicamente) il cervello attiva il meccanismo del fight-flight-freeze e si innescano una serie di cambiamenti fisiologici: aumento della frequenza cardiaca, accelerazione della respirazione, rallentamento della digestione, vista focalizzata, a volte perdita dell’udito, se la minaccia è considerata abbastanza grave.
Si verifica un fenomeno conosciuto come “sequestro dell’amigdala” o “amygdala hijack”: il cervello dà la priorità alla sopravvivenza, alle emozioni, e “chiude” le funzioni più logiche e razionali della corteccia prefrontale.
Peccato che siano proprio quelle che ci servono per impegnarci nel cambiamento!
In ultima analisi, può diventare impossibile concentrarsi su qualcosa di diverso dall’autoconservazione, fisica o emotiva che sia.

A livello aziendale, è molto probabile che una riorganizzazione, una nuova mansione, una ristrutturazione, una fusione vengano percepite come minacce, piuttosto che opportunità o ricompense: i dati di McKinsey ci dicono che il 70% delle iniziative di cambiamento e riorganizzazione in azienda fallisce.

Due teorie principali possono essere utilizzate per aiutarci a capire i fattori scatenanti che possono guidare o ostacolare il cambiamento ad un livello profondo, e uniscono informazioni che provengono da diversi campi, tra cui neuroscienze, biologia e psicologia evolutiva: il modello di David Rock del NeuroLeadershipInstitute e quello dei professori di Harvard Paul Lawrence e Nitin Nohria’s.
Se i manager conoscono i fattori scatenanti, possono gestire i cambiamenti in modo da minimizzare la minaccia percepita e massimizzare la ricompensa percepita.
Se state pensando che siamo manager non siamo psicologi, datevi una possibilità: così come non serve essere un ingegnere per guidare un’auto, non serve essere un neurologo per gestire il cambiamento.

Vediamo i fattori chiave uno per uno, per capire come attivarli in modo che diventino uno stimolo, e come disinnescarli se sono un freno.

STATUS / SCOPO
Lo status è il nostro “posto” nel mondo , la nostra “identità” nel sistema in cui siamo inseriti.
Non è solo legato ad un tema di potere, di gerarchia o di danaro, quanto piuttosto all’importanza che abbiamo per gli altri, al nostro livello di interazioni, a quanto siamo bravi e riconosciuti in quello che facciamo, al motivo per cui in qualche modo “contiamo” nel sistema.
Le ricerche neurologiche mostrano che il cervello risponde agli elogi e alla valorizzazione e al riconoscimento nello stesso modo in cui reagisce alle ricompense economiche.

Ebbene, a causa dell’importanza dello status, stiamo costantemente (e spesso inconsciamente) valutando la nostra posizione rispetto a quelli che ci circondano.
E l’idea che il nostro status sia compromesso innesca una risposta di minaccia nel cervello: lo status è un forte driver dei nostri comportamenti, che ci piaccia o no. La fonte del problema è che quando sentiamo che il nostro status o la nostra identità vengono minacciati, non siamo in grado di elaborare i cambiamenti necessari per sviluppare una nuova identità sociale.
Nelle fusioni e acquisizioni, i dipendenti dell’azienda acquisita si sentono più minacciati, riferiscono livelli di stress più elevati, una minore identificazione con la nuova organizzazione, e spesso si sentono trattati ingiustamente.

Durante il cambiamento, la minaccia allo status può essere evitata, e anzi ribaltata, offrendo ai collaboratori opportunità di sviluppare nuove competenze, di dimostrare le loro capacità esistenti in nuovi modi, di assumere nuove responsabilità, di costruire una nuova “identità”.

Come possiamo ridurre la minaccia allo status durante i momenti di cambiamento?
– Dare Apprezzamento
In momenti di minaccia, serve ricordare alle persone il loro valore. Questo li aiuta a navigare attraverso le difficoltà e ad andare avanti, aumentando la loro fiducia nella capacità di superare qualsiasi ostacolo. Anche piccoli riconoscimenti hanno effetti significativi, perché nei periodi minacciosi le persone cercano naturalmente di trovare un senso. Ad esempio, nelle negoziazioni, quando le persone vengono riconosciute, diventano più aperte ai compromessi, si sentono meno legate alla “parte” che devono interpretare, e lasciano il tavolo con una maggiore fiducia verso l’interlocutore.
– Fare Coaching basato sui punti di forza
Nei momenti di alta minaccia, serve ricordare ai singoli le loro risorse / capacità / qualità / valori.
E’ utile spostare l’attenzione del cervello da ciò che può andare male o da ciò che manca a ciò che c’è, agli strumenti che abbiamo per affrontare la situazione e come usarli al meglio. 
– Puntare su Valori aziendali importanti
Il sistema incentivante gioca un ruolo importante qui. Se premiamo performance superiori con aumenti di stipendio o bonus, questo spingerà la gente a vedere solo negli aspetti materiali come unico vero simbolo di status. Invece altri tipi di ricompense possono essere motivanti tanto quanto i soldi, se non di più.

SICUREZZA
Al cervello la sicurezza piace molto, e l’incertezza pochissimo.
Siamo continuamente (e in gran parte inconsciamente) alla ricerca nell’ambiente di informazioni che ci aiutino a prevedere cosa accadrà, come fosse una questione di sopravvivenza.
La strada nota e abituale può essere gestita facilmente dal cervello, perché consente di passare al pilota automatico, usando percorsi neurali ben tracciati.
Al contrario, una deviazione dal cammino più familiare richiede più attenzione, concentrazione, decisioni; assorbe molta più energia e attiva un senso di minaccia e di incertezza.

Il problema è che nei momenti di cambiamento i leader non sempre sanno esattamente cosa accadrà, o non possono condividere molte informazioni, o hanno timore a farlo.
Di conseguenza, a volte ritardano la comunicazione o ammorbidiscono il messaggio per attutire il colpo, e nel farlo mascherano la verità.
Nonostante questa sia una pratica comune, le ricerche mostrano che non è affatto apprezzata: la gente chiede una comunicazione aperta, onesta, trasparente.
La gente chiede di sapere: sapere poco è meglio che essere lasciati all’oscuro.
La chiara e onesta trasmissione di notizie permette di iniziare a dare un senso a quel che accade, piuttosto che consumare energie tra elucubrazioni e scenari ipotetici.

Come possiamo sostenere il bisogno di Sicurezza in tempi di cambiamento?
– Comunicazione chiara, coraggiosa, tempestiva
e se non sai, dillo che non sai, ma dì qualcosa!
– Dare Visione
Dipingere una visione concreta del futuro, dare previsioni realistiche del “nuovo modo di lavorare” per ridurre l’incertezza e superare la preferenza intrinseca per le cose più familiari
– Obiettivi Trasparenti e Pianificazione
Creare piani dettagliati, suddividendo i grandi cambiamenti in fasi più piccole e gestibili; condividere piani, obiettivi e aggiornamenti tra i team; garantire una guida e un supporto chiaro, visibile e costante da parte degli sponsor del cambiamento.

AUTONOMIA
L’autonomia dà alle persone un maggiore controllo, e rende il lavoro psicologicamente gratificante.
Pertanto, non sorprende che i nostri cervelli siano cablati per cercare l’autonomia, e reagiscano male quando è minacciata.
Il cambiamento può mettere a rischio l’autonomia dei lavoratori in vari modi: riduzione dei compiti, più livelli di autorizzazione, nuovi ambiti non conosciuti, dipendenza da altri ……etc
Se veniamo obbligati ad accettare una nuova realtà che non abbiamo contribuito a costruire, è molto più probabile resistere al cambiamento.
Alcuni di noi mettono in atto meccanismi sabotanti, ostili, pure autolesionisti a volte, perchè la violazione di un principio è più importante di tutto il resto. Accade.

Come possiamo migliorare l’autonomia nei momenti di cambiamento?
– Co-creare cambiamenti
Coinvolgere i collaboratori nella costruzione del cambiamento, dall’inizio, ed essere chiari su ciò che può e non può essere influenzato, per evitare senso di iniquità o incomprensioni.
– Sostenere le transizioni di leadership
Le transizioni di ruolo possono essere difficili se i vecchi modi di lavorare sono diventati abitudini profondamente radicate, o alle persone mancano alcune skills che vanno allenate: serve stare accanto, dare feedback, offrire aiuto
– Condividere i valori
Se i manager sono consapevoli di ciò che i loro team member hanno a cuore, delle libertà a cui tengono di più, può essere più facile aiutare le persone a dare un senso e abbracciarlo, perchè quel cambiamento potrebbe essere l’ooportunità per nutrire valori diversi per ognuno. 

RELAZIONI
Gli esseri umani sono animali sociali, perché essere socialmente connessi è sempre stato necessario per la sopravvivenza.
Le ricerche suggeriscono che il nostro bisogno di socializzare è forte quanto il nostro bisogno di cibo o acqua, e che il cervello risponde alla separazione sociale nello stesso modo in cui risponde al dolore fisico. La mancanza di interazione sociale è letteralmente un male per la nostra salute; la scarsa partecipazione ai legami sociali è collegata un rischio superiore di malattia e morte.

Le persone possono reagire male se i cambiamenti organizzativi comportano perturbazioni nelle loro reti di relazioni o nelle loro interazioni.
Le nuove squadre non possono essere immediatamente attive e performanti: nuovi legami e nuovi equilibri vanno costruiti.
Spesso si osservano persone bypassare cambiamenti strutturali per tornare alle loro precedenti relazioni per ottenere informazioni o consigli.
Durante le fusioni, si deve abbandonare un’identità sociale e imparare a ridefinirsi come membri della nuova organizzazione, e questo non si fa in una notte.

Inoltre, anche se siamo animali sociali, siamo programmati per essere prudenti con gli estranei: in tutti noi incontrare uno sconosciuto tende a generare una risposta automatica di pericolo.
Se è un nuovo leader a guidare il cambiamento, la resistenza sarà mediamente maggiore. 
La familiarità genera fiducia e la fiducia, e non può essere semplicemente comandata: richiede tempo e ripetute interazioni sociali.

Come possiamo proteggere il bisogno di Relazione nei momenti di cambiamento?
– Accelerare la costruzione di nuove dinamiche di team
Sessioni di team coaching con un facilitatore esterno (un coach o una persona di HR) può promuovere l’apprendimento condiviso, armonizzare gli obiettivi e accelerare lo sviluppo di modelli mentali e comportamentali condivisi, condurre alla definizione comune di come il team vuole lavorare insieme, per performare al meglio.
– Incoraggiare la comunicazione informale capo-collaboratore
La relazione si sviluppa attraverso interazioni ripetute, e quindi i leader devono trovare il tempo di impegnarsi in questo
– Avere agenti di cambiamento
E’ importante coinvolgere nella progettazione e nell’attuazione del cambiamento diverse persone, a diversi livelli, e in diverse aree dell’organizzazione: ascoltiamo più volentieri persone che consideriamo simili a noi , e con le quali abbiamo legami più stretti.

EQUITA’
La percezione che qualcosa è ingiusto genera una forte risposta emotiva nel cervello, innescando una risposta di FIGHT o FLIGHT e creando sentimenti di ostilità,mentre il cervello trova la giustizia gratificante. Ci sentiamo più felici di ricevere 5$ da una divisione di 10$ su 2 persone, piuttosto che 5$ da una divisione di 30$ su 2 persone.
La quantità effettiva ricevuta non ha un impatto significativo sulla felicità, quanto l’equità della divisione.

L ‘”avversione alla disuguaglianza” è molto rilevante nel cambiamento organizzativo.
Quando i dipendenti percepiscono che il cambiamento organizzativo è stato attuato e gestito in modo equo, reagiscono più positivamente. Non è tanto il risultato del cambiamento che conta, quanto il modo in cui le decisioni sono state prese e attuate.

Come possiamo garantire Equità nei momenti di cambiamento?
– Giustizia nel distribuire
Giusta ripartizione di risorse, promozioni, bonus o premi
Giusta ripartizione di ridimensionamenti o cambi di mansione
– Giustizia nel costruire
Equità nelle procedure utilizzate per giungere a certe decisioni, consultando le persone che saranno interessate/impattate, per garantire che i diversi interessi siano rappresentati
– Giustizia nell’applicare
Equità nel modo in cui le decisioni vengono applicate nella pratica, con un trattamento coerente di individui e gruppi diversi, e adozione di misure per eliminare o almeno ridurre al minimo le iniquità.
I momenti di valutazione e feedback sono componenti essenziali in questo ambito.

COMPRENSIONE
Come sostenuto da Paul Lawrence e Nitin Nohria della Harvard Business School, abbiamo un impulso fondamentale a dare un senso al mondo che ci circonda.
Soddisfare la comprensione e la ricerca di senso nei collaboratori porta una motivazione più forte, più benessere, più impegno, una maggiore soddisfazione sul lavoro e un minore assenteismo.

Quando le cose non hanno senso, sono contraddittorie, vanno contro le nostre convinzioni e valori, sperimentiamo la ‘dissonanza cognitiva’, che causa stress e disagio.
Se i collaboratori non comprendono appieno le ragioni dei cambiamenti organizzativi, o se i cambiamenti vanno contro le loro convinzioni e valori, sperimenteranno dissonanza cognitiva, si sentiranno a disagio, e cercheranno un modo per ridurre questo stato non piacevole, spesso disingaggiandosi, per “sentire meno male”.

I manager possono contribuire a ridurre (o preferibilmente evitare) la dissonanza cognitiva spiegando chiaramente le ragioni del cambiamento, e non lasciando soli i collaboratori.
Alcuni potrebbero cercare di dare un senso al cambiamento insieme ai colleghi; altri potrebbero evitare qualsiasi informazione, e far finta che niente stia accadendo; altri potrebbero ribellarsi attivamente.

Gli individui rispondono ai cambiamenti in modi diversi, come riassunto nel lavoro di Chris Rodgers.

 A (positivo-attivo): vedono il cambiamento come un’opportunità, per far carriera, o per esprimere una qualità o una passione
 B (positivo-passivo): vedono il cambiamento in modo positivo, ma non sono pronti a impegnarsi attivamente. Possono non comprenderne appieno il significato o i benefici, o possono volere segnali tangibili di quel che accadrà.
 C (negativo-passivo): vedono il cambiamento negativamente ma sono passivi e in attesa. Forse preoccupati di ciò che perderanno, o insicuri sul processo.
 D (negativo-attivo): vedono il cambiamento in termini negativi e lavorano attivamente contro di esso, per modificare i risultati pianificati o impedire che si verifichi. Sono persone palesemente o occultamente ostili.

COSA POSSONO FARE I LEADER PER FACILITARE IL CAMBIAMENTO NEGLI ALTRI
Dopo tutto quello che abbiamo visto in questo articolo, le componenti chiave di una gestione efficace del cambiamento si consolidano in tre grandi categorie

  1. Comunicare in modo chiaro, semplice, motivante, onesto
    Pensateci due volte prima di dire che la ragione del cambiamento è salvarci da un disastro.
    I tentativi di motivare i dipendenti attraverso una minaccia, espressa o implicita, attirano l’attenzione, ma non necessariamente rendono le persone ricettive o reattive in modo positivo.
    Creare un clima di paura è anche autolesionista, perché invita le persone a guardare sempre a ciò che non va, ai rischi, alle minacce.
    Dipingere invece un quadro positivo del futuro, rendendo la visione il più dettagliata e realistica possibile, può fornire un po’ di certezza e di motivazione su ciò che verrà.
    Inoltre semplificare è molto utile: se è possibile scomporre il cambiamento in fasi gestibili con obiettivi concreti, ottimo! Migliora la sicurezza e il senso di controllo.
    Infine, quando comunicate il cambiamento, siate aperti e onesti.
    Se non sapete, ditelo, ma dite quando sperate di saperlo. Anche questo dà sicurezza
  2. Dare la possibilità alle persone di agire, di avere un ruolo
    Dovete aiutare le persone a individuare i modi per utilizzare e dimostrare i loro punti di forza nei loro nuovi ruoli, nel nuovo team o nella nuova struttura.
    Aiutate i nuovi gruppi a conoscersi e ad accelerare lo sviluppo di metodi efficaci di collaborazione.
    Aiutate le persone a sviluppare le capacità che servono per riconoscere e gestire il cambiamento, così che non si sentano fragili, minacciate, frustrate, sole.
  3. Strutturare il processo insieme alle persone
    Date la possibilità ai collaboratori di influenzare e dare un senso ai cambiamenti.
    Consentite alle persone di adattarsi a nuovi modi di lavorare: le abitudini tendono ad essere difficili da alterare, se profondamente radicate, anche con la migliore delle intenzioni.

Aiutare gli altri a cambiare è un lavoro articolato, complesso, di grande responsabilità, ma, come questo articolo ha cercato di fare, avere una check list mentale aiuta.
Essere un buon leader significa farsi e fare tante domande, esplorare molti aspetti, capire cosa serve, con umiltà, curiosità e onestà.

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