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Rendere la curiosita’ parte integrante nel lavoro in azienda

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La curiosità è il pilastro su cui si fondano creatività e innovazione: la maggior parte delle scoperte e delle invenzioni sono nate dalla curiosità.
Questo impulso a cercare nuove informazioni ed esplorare cose nuove ha ovviamente grandi impatti sul business: ci fa individuare nuovi bisogni, nuovi mercati e nuove soluzioni; ci fa cercare modi nuovi per gestire stress e complessità; ci fa imparare dagli errori; ci fa collaborare meglio.

Francesca Gino, Harvard Business School professor, grande esperta di curiosità e creatività, ha notato nei suoi studi all’interno delle organizzazioni più diverse che a parole i leader considerano importantissima la curiosità, però poi, nei fatti, spesso non la favoriscono.
Alcuni leader guardano con sospetto l’esplorazione, perchè “cambiare le cose costa” : le innovazioni sono dispendiose in termini di investimenti, tempi, processi.
Altri privilegiano l’efficienza, o gli obiettivi di breve, a scapito dell’esplorazione: una volta che si è trovato un prodotto o un processo che funziona, ci si concentra solo sul renderlo sempre più efficiente, o sull’aggiungere features. Sono più facilmente i competitor, i runner-up che intercettano altri bisogni e creano qualcosa di nuovo, perchè non hanno successi consolidati da difendere, hanno meno da perdere.

La professoressa Gino ci offre alcuni suggerimenti pratici per favorire la curiosità, in azienda o in qualsiasi organizzazione, che trovo altamente condivisibili e facili da applicare. Basta volerlo! Sono un modo per ripensare processi importanti e basilari, dalla selezione, al training alla presa di decisioni.
Eccoli qui.

1. Assumere persone curiose
Nel 2004 comparve un annuncio sulla Highway 101 in California che proponeva un’ equazione da risolvere. La soluzione era sul sito www.7427466391. com.
I curiosi che visitavano quel sito trovavano un’altra equazione da risolvere.
I pochi che andarono sul sito e risolsero anche la seconda equazione vennero invitati ad inviare un curriculum a Google.
L’azienda aveva ideato un approccio inusuale per trovare i candidati giusti, perchè attribuisce un valore molto alto alla curiosità, e cercava candidati curiosi.
Non c’era nemmeno bisogno di essere ingegneri per essere invitati ad un colloquio.
Google utilizza anche un particolare metodo di intervista per identificare le persone più curiose, usando domande del tipo “Ti è mai capitato di non riuscire a smettere di imparare qualcosa di nuovo, qualcosa di cui magari non avevi la minima idea fino a poco tempo prima? Che cosa ti ha fatto insistere?”
Le risposte normalmente vanno nella direzione o di un grande interesse o di una grande curiosità.

IDEO, società di design e di consulenza, cerca collaboratori a forma di T , persone che abbiano sia capacità di contribuire al processo creativo ( la linea verticale della T) sia una predisposizione alla collaborazione con persone e discipline diverse, caratteristica che implica empatia e curiosità ( la linea orizzontale della T).
L’azienda ha capito che l’empatia e la curiosità sono collegate: l’empatia permette alle persone di ascoltare con attenzione e vedere problemi o decisioni dalla prospettiva degli altri, mentre la curiosità espande i loro interessi verso le competenze dei colleghi, al punto da avere voglia di capirne di più e imparare.
Per identificare i potenziali candidati a forma di T, IDEO presta attenzione al modo in cui le persone parlano dei progetti passati: una persona che si concentra soltanto sui propri contributi potrebbe mancare della capacità di apprezzare quelli degli altri. I candidati a forma di T parlano invece anche dei colleghi, e di come siano riusciti ad ottenere il successo grazie all’aiuto di contributi diversi.

Per appurare la curiosità dei candidati si possono anche fare domande sui loro interessi fuori dal lavoro: quando una persona ha interessi variegati e legge fonti diverse è molto probabile che abbia un buon livello di apertura e curiosità.
Esistono infine una serie di Assessment sulla curiosità, come il Curiosity Code Index creato da Diane Hamilton , che misurano quanto le persone esplorino ciò che non conoscono, analizzino le situazioni da più punti di vista, approfondiscano, abbiano interessi diversi fuori dal lavoro, siano animati dalla voglia di imparare.

Ultimo ma non ultimo, è anche fondamentale notare quello che il candidato chiede, non soltanto le risposte che dà.
Le persone che vogliono sapere di più sul funzionamento dell’azienda, sulle sfide passate e future, su attività non direttamente collegate al lavoro per cui stanno facendo un colloquio, mostrano una curiosità naturale più spiccata di altri.

2. Fare domande, anche scomode + Ammettere di non sapere
Man mano che cresciamo perdiamo la capacità di fare domande, innocenti, invadenti, curiose, come quelle dei bambini: le regole del sistema e il desiderio di apparire competenti e sicuri si mettono in mezzo, ammazzando la curiosità, giorno dopo giorno.
Se uniamo a ciò il fatto che mediamente preferiamo parlare , e dire agli altri cosa fare, piuttosto che chiedere ed ascoltare, la frittata è fatta

Leader che non fanno domande perché temono di essere giudicati incompetenti, indecisi, impreparati o non intelligenti sono leader che non dovrebbero ricoprire il posto che occupano. Leader che sono fermamente convinti di avere tutte le risposte, idem.
Invece i leader che fanno continuamente domande per capire, approfondire, mettere in discussone lo status quo, dare la parola a tutti, alimentano lo stesso approccio anche negli altri.
È peraltro vero che i leader devono insegnare ai collaboratori a fare buone domande, domande aperte, domande orientate al futuro, domande che aprono possibilità, domande che arrivano al cuore dei problemi, non domande di critica, giudizio, lamentela o contestazione.

Fare domande è importante non solo perchè fa trovare risposte, ma anche perchè, di fondo, significa ammettere di non sapere.
Uno studio dell’Università della California mostra che l’umiltà intellettuale (il saper riconoscere che quello che conosciamo ha dei limiti) è associata ad una maggiore volontà di considerare i punti di vista altrui, e ad una maggiore curiosità, e le persone più umili intellettualmente vanno meglio a scuola
Gino ci illustra alcuni esempi di come le cose che stiamo dicendo vengono applicate nella pratica:

3. Definire per le persone Obiettivi di Apprendimento, non solo Obiettivi di Performance
Nelle situazioni di stress e depressione tendiamo a ritornare alle cose che ci vengono più naturali, e che conosciamo meglio.
Ma le persone con la passione dell’apprendimento contemplano un range più ampio di opzioni e di prospettive.
Anche ricerche condotte tra professionisti della vendita dimostrano che, a fronte dell’obiettivo di promuovere un prodotto nuovo e complesso, i venditori che performano meglio non sono quelli focalizzati sui kpi’s e sul premio di fine quarter o fine anno, ma quelli a cui più di tutto importa diventare un venditore migliore, sapere di più, gestire situazioni nuove.

I leader possono sottolineare l’importanza di un mindset orientato all’apprendimento in vari modi:

Ascolta la viva voce di Francesca Gino in questo TED Talk

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